Io, padre orfano di padre

Dal nostro archivio

(a cura di Anonimo)

Il Bangladesh si trova in Asia e il suo nome ufficiale è Gianapra Jatantri Banladesa cioè Repubblica Popolare del Bangladesh. La situazione politica non è facile: c’è un presidente della Repubblica che si chiama Habdul Hamid e un primo ministro donna, Sheikh Hasina che appartengono a un partito corrispondente al PD. In realtà è da tanto tempo che in Bangladesh non si vota e la democrazia è finta; il Bangladesh ha ottenuto l’indipendenza dal Pakistan il 26 marzo del 1971.

La lingua del Bangladesh è di origine indo-ariana e ha dei caratteri propri ma il popolo è abituato a studiare e a parlare l’inglese per via della colonizzazione del periodo imperialista. 

L’Italia, per molti che emigrano, è una terra promessa; famoso è nel mondo l’art.3 della costituzione italiana:

E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

In Bangladesh invece la costituzione definisce le comunità non bengalesi come ” tribù, razze minori, sette etniche e comunità ” e non le  riconosce come persone indigene; la terza parte della nostra costituzione, quella riguardante i diritti umani, è falsa: 

art. 27: uguaglianza davanti alla legge ma non se ti opponi al Partito.

art.28: discriminazione basata sulla religione, sono musulmano e accettato ma non è così per le altre religioni;

art.32: tutela del diritto alla vita e della libertà personale …sono dovuto fuggire.

Andiamo con ordine, step by step, se ti va raccontaci qualcosa di te: come vivevi e quando è cambiata la tua vita.
Quando ero piccolo ero molto felice anche se ero povero; mio padre lavorava ma, quando è morto, ci siamo trovati in difficoltà economica. Io avevo dieci anni e ho dovuto cominciare a lavorare ma non ho mai smesso di studiare.

Ti sei sposato da giovane?
Sì, avevo 18 anni e ho fatto una piccola festa. La mia fidanzata abitava vicino a casa mia; siamo andati a vivere in affitto in una città vicino a Dhaka, a Manikgong, con mia moglie e i miei figli: una femmina e due maschi.

Perché hai deciso di emigrare?
Non tutti sanno che la Mafia non è un problema solo italiano; in Bangladesh avevo un ristorante con mio fratello. Mio fratello è stato ucciso dalla mafia perché non ha pagato il pizzo; il ristorante è stato bruciato e io sono scappato. Loro mi hanno inseguito, io nel frattempo ho fatto cambiare città alla mia famiglia. Ho preso l’aereo e sono arrivato a Dubay, ho pagato un broker (illegale) che mi ha procurato un biglietto e mi ha dato un passaporto così sono riuscito a scappare. Mia moglie è stata minacciata e colpita alla testa con una pistola ma non le hanno sparato; andarmene è stato l’unico modo per lasciar vivere in pace la mia famiglia. Per questo non vi dico né il mio nome né quello dei miei familiari.

E la polizia?
La polizia ti aiuta solo se paghi ed è molto corrotta.

Che percorso hai fatto per arrivare qui?
Dubay-Turchia-Libia. Ho usato una mafia per scappare da un’altra mafia. Il momento peggiore è stato in Libia, ci sono stato due mesi e non mi sento di parlarne.

Come sei arrivato dalla Libia all’Italia?
Mi hanno liberato e ho preso una barca insieme a tante persone, 480. Siamo arrivati tutti in Italia, a Siracusa e i Siciliani ci hanno aiutati. Sono arrivato a Genova, ho avuto due interventi chirurgici.

Il tuo desiderio qual è adesso?
Portare qui la mia famiglia ma non è così facile.

Foto: credit S. M. Ibrahim / Unsplash

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